La battaglia di Lepanto a Venezia

  Alla scoperta di alcune testimonianze 

dell’evento storico del 1571,presenti a Venezia.

   

LA STORIA DELLA BATTAGLIA

  Il 20 maggio 1571, papa Pio V riusciva finalmente a dar vita alla Lega Santa, con la partecipazione di Venezia, Genova, della Spagna, dello Stato Pontificio, della Savoia e di Malta. Le diffidenze e le rivalità fra le varie potenze cristiane erano temporaneamente messe da parte. Il pericolo turco diventava sempre più forte che, per fronteggiare la potente flotta ottomana, era necessaria un’alleanza: nessuno stato cristiano sarebbe stato in grado, da solo, di mettere in mare un numero sufficiente di navi per dar battaglia con speranza di vittoria.

Al comando della flotta venne posto don Giovanni d’Austria, figlio naturale di Carlo V e fratellastro del re di Spagna Filippo II. Giovanni aveva allora solo 26 anni, ma già precedentemente si era dimostrato un coraggioso comandante. Suo padre aveva portato la corona del Sacro Romano Impero, così in lui, e nel suo comando, simbolicamente si rappresentava l’unità cristiana dell’Europa.

La flotta cristiana era composta da 110 navi veneziane di cui:

  - 54 galere con equipaggi provenienti da Venezia;

- 30 galere con equipaggi provenienti da Creta;

-  7 galere con equipaggi provenientidalle isole Jonie (Corfù, Zante,

    Cefalonia, ecc.);

-  8 galere con equipaggi provenienti dalla Dalmazia;

-  5 galere con equipaggi provenienti dalle città di Terraferma;

-  6 galeazze con equipaggi provenienti da Venezia.

  Altre 98 galere erano così ripartite:

  - 36 da Napoli e Sicilia;

- 22 da Genova;

- 23 dallo Stato Pontificio, Toscana e altri stati italiani;

- 17 da Spagna e Malta.

 

Per un totale di 202 galere e 6 galeazze, tutte navi a remi e particolarmente adatte a questo tipo di battaglie navali. Vi erano poi una trentina di navi a vela, come rifornimento e supporto. La flotta turca disponeva di circa 250 galere, più un centinaio di navi a vela.

A bordo della flotta cristiana si trovava il fior fiore della nobiltà italiana, spagnola e dei vari Ordini Cavallereschi. In totale vi erano imbarcati circa 50.000 rematori e 30.000 soldati, più 1.815 pezzi d’artiglieria. Proporzionalmente maggiore era il numero degli uomini della flotta turca. Come si vede un numero enorme di navi e di combattenti: sarà la più grande battaglia navale del Mediterraneo un mare che di scontri navali ne aveva visti fin dai tempi più antichi, e che ancora ne vedrà.

Per la flotta cristiana il punto di raccolta era stato fissato a Messina, da dove salpò il 16 di settembre del 1571, dirigendosi verso lo Ionio alla ricerca della flotta turca. Questa, nel frattempo, trovando sguarnita l’imboccatura dell’Adriatico, era risalita lungo la costa fino a Lesina, mettendo a sacco le coste di Corfù e della Dalmazia, non riuscendo però a conquistare le varie piazzeforti fortificate. Così, cercandosi a vicenda, le due potenti formazioni navali si incontrarono nel golfo di Patrasso, davanti alla cittadina di Lepanto oggi chiamata Nàfpaktos, la sera del 6 ottobre 1571.

Qui giungeva la notizia della caduta di Famagosta, avvenuta alla metà di agosto, con la terribile strage commessa dai turchi, e della tremenda fine del comandante Marc’Antonio Bragadin, scuoiato vivo. Il desiderio di vendicare i caduti alimentò ancora di più la voglia di combattere. D’altra parte anche i turchi erano ansiosi di andare allo scontro, tra di loro c’era molto entusiasmo, anche perché coscienti di avere una flotta numericamente superiore.

Alla mattina del 7 ottobre le due più formidabili flotte di tutti i tempi si avvistano vicendevolmente; don Giovanni, forse incerto sul da farsi, si avvicina alla galera di Sebastiano Venier chiedendo al vecchio capitano se si doveva combattere. Perentoria venne la risposta: “È necessità et non si può far de manco!”. Fa allora alzare sull’ammiraglia la bandiera verde, che ordinava alle navi di assumere la formazione stabilita per la battaglia. La flotta si dispose secondo la tattica delle battaglie terrestri: una lunga linea frontale in ordine serrato, con le galere quasi a contatto di remi. Il centro è comandato da Don Giovanni d’Austria, coadiuvato da Sebastiano Venier, l’ala sinistra dal Provveditore Agostino Barbarigo, che occupa la zona di mare vicina alla costa, per impedire un eventuale aggiramento; l’ala destra è invece agli ordini di Giannandrea Doria; in retroguardia ci sono 35 galee di riserva, veneziane e spagnole, comandate dal marchese di Santa Cruz; la lunga linea è preceduta dalle sei galeazze veneziane, vere fortezze galleggianti, poste a circa mezzo miglio e disposte a due a due davanti ai tre gruppi di galere. Il loro compito era quello di spezzare la linea delle navi turche, grazie alla loro poderosa artiglieria, composta da una cinquantina di cannoni di grosso e medio calibro e da circa 700 uomini d’equipaggio, dei quali molti armati di grossi e micidiali archibugi. Contrariamente alle galere, che erano armate solo di prua, le galeazze avevano cannoni anche sulle fiancate e a poppa, e questo rappresentava una novità: i turchi non ne erano a conoscenza. Per le galeazze questa era la prima uscita, da poco l’Arsenale ne aveva iniziata la costruzione.

La flotta turca, al comando di Alì Pascià, addotta subito una formazione identica: l’ammiraglio al centro con 91 galee e 5 galeotte, l’ala destra con 55 galee comandate dal celebre corsaro Mehemed Sciuluk (detto Scirocco); l’ala sinistra con 67 galee e 27 galeotte agli ordini di Uluch Alì (detto Occhiali). I turchi muovono all’attacco, ma già da notevole distanza sono presi dal fuoco dei cannoni delle 6 galeazze; Alì Pascià ordina di procedere più velocemente: vuole superare d’impeto la linea di quelle navi per piombare sulla linea delle galee. Non sa ancora che sono armate anche sulle fiancate e sul castello di poppa. Così quando arrivano sui fianchi sono tempestati da un fuoco ancor più potente, inoltre le alte sponde delle galeazze non consentivano l’abbordaggio.

L’ordine della linea turca è sconvolto, le navi si intralciano, diminuisce notevolmente l’impeto sul quale contavano. Appena sbucate dal fumo dei cannoni delle galeazze, le navi turche sono sotto il tiro di quelli delle galere. Le due linee sono ormai a contatto. Sembra per il momento che i cristiani si trovino in condizioni più favorevoli, ma il sopraggiungere di altre galere turche di rinforzo rimette tutto in discussione. Mentre l’ala sinistra cristiana e il centro sono già impegnate in battaglia, l’ala destra, temendo un accerchiamento da parte di Uluch Alì, si allarga pericolosamente, lasciando un varco in cui rimangono isolate 15 galere.

Intanto l’ammiraglia di Alì Pascià attacca quella di Don Giovanni, che viene aiutato dalle capitane di Sebastiano Venier e di Marcantonio Colonna. La battaglia si fa sempre più cruenta, con abbordaggi tentati e respinti, con trucchi e trabocchetti di consumati marinai. Nel frattempo il Doria, intuendo le intenzioni di Uluch Alì che punta sull’aggiramento, pur in inferiorità numerica si allarga ancora e alla fine lo fronteggia.

Sull’ala sinistra, quella quasi totalmente veneta, dopo furiosi combattimenti, nei quali cadono anche diversi capitani veneziani, Scirocco ha la peggio. La sua galera viene speronata, lui tenta la fuga in acqua, ma alcuni schiavi cristiani, che erano riusciti a liberarsi, lo riconoscono, lo catturano e poco dopo viene decapitato. Intanto tra le due ammiraglie la lotta è all’ultimo sangue, ma ormai inizia a volgere a favore della Lega. Don Giovanni ordina l’abbordaggio dell’avversaria, Alì Pascià, ferito, tenta di venire a patti, ma un soldato lo colpisce e gli taglia la testa. Sull’ala destra le cose vanno peggio, Uluch Alì riesce a decimare notevolmente le forze cristiane. Ma ormai la battaglia è vinta, e lo schieramento centrale va in aiuto del Doria. Uluch Alì riuscirà a fuggire con una dozzina delle sue navi e con alcuni prigionieri. La poderosa flotta turca, considerata fino allora invincibile, è pressoché distrutta.

Le perdite cristiane ammontano a 7.636 morti (dei quali 4836 veneziani) e 7.804 feriti (dei quali 4.604 veneziani). Secondo fonti attendibili, le perdite turche in combattimento, non tenendo conto degli annegati, furono in totale 29.925 (compreso il comandante in capo, 34 capitani principali e 120 capitani di galea). Vennero inoltre fatti 7.220 prigionieri e liberati 10.000 schiavi cristiani, in maggioranza italiani.

Dieci giorni dopo, la galera di Onfré Zustinian, messaggero di Sebastiano Venier, entrava in città trascinando nell’acqua le bandiere turche: Venezia sembrava impazzita dalla gioia. Lo stesso succederà poi in tutta Europa. A Roma il papa, fautore della Lega e della battaglia, glorificava la Vergine del Rosario, attribuendo alla sua intercessione la gloria della flotta cristiana.

 

La ricerca continua

Altre testimonianze della Battaglia di Lepanto a Venezia

 

  -Museo Navale:         Modello di galeazza ed incisioni relative alla battaglia

                                  Ritratti di comandanti della flotta veneziana

                                  Piantina di Famagosta ed altre testimonianze

  -Chiesa di S. Giuseppe di Castello:

                                           Paliotto d’altare, primo altare a sinistra

 -Chiesa S. Nicolò dei Lido:           

                                  Altare Maggiore, sul retro la campana che ha

                                  annunciato la vittoria ai veneziani

-Palazzo Ducale:

               -Sala del Collegio:  Battaglia di Lepanto di Paolo Veronese

               -Andito:  S. Giustina e la gente di mare di D. Tintoretto

               -Sala dello Scrutinio:  Battaglia di Lepanto di A. Vicentino

                                                     

  -Museo Correr:         Varie testimonianze

  -Chiesa di S. Fantin:  Altare Maggiore, parete di sinistra:

    Doge AIvise Mocenigo ringrazia la Vergine per la vittoria di Palma il Giovane

  -Chiesa di S. Maria del Ciglio:

            la cappella a sinistra

            Il Salvatore, S. Giustina e S.Francesco di Paola di Jacopo Tintoretto

  -Chiesa di S. Giacomo dall’Orio:

            Sacrestia Vecchia

            Passaggio del Mar Rosso(allegoria della Battaglia di Lepanto)

di Palma il Giovane

                                                             

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