Archeologia Industriale a Treviso: tre esempi significativi

Treviso

   

«Rendiamo finalmente agli artigiani la giustizia loro dovuta. Le arti liberali si sono già cantate abbastanza da sole: oggi potrebbero ben impiegare la loro voce a celebrare le arti meccaniche». Così nell’Enciclopedia, Denis Diderot precorreva i tempi con la sua filosofia del lavoro manuale e meccanico.

 

Oggi invece, iniziando dagli anni ’70 con la crisi della grande industria e la dismissione dei grandi complessi industriali siderurgici, meccanici, chimici e petroliferi, in Italia nasce il problema delle aree industriali dismesse. In pochi anni la questione assume un rilievo sempre più importante perché si innescano processi di degrado fisico, ambientale ed anche sociale, che rischiano di deprimere intere parti di città. Si pone quindi il problema della riconversione, analogamente a quanto avvenuto in Inghilterra, nella seconda metà dell’800, con la prima crisi della città industriale. Con la svolta degli anni ’90, sul piano urbanistico, la questione delle aree industriali dismesse, in prospettiva può diventare una risorsa importante per il processo di rinnovo della città (vedi zona Eden a Treviso). Da un recente Convegno (giugno 2000 a Prato) dal tema “Il Patrimonio Archeologico Industriale: possibili sviluppi nel Veneto” si evidenzia la necessità di provvedere all’identificazione dei manufatti archeologici industriali all’interno di ambiti e itinerari, i cui valori storici e ambientali impongono di intervenire con appositi strumenti progettuali. In questo piano tutti i Comuni del Veneto vengono indirizzati a individuare “i siti archeologici industriali” su aree più o meno estese e a stabilirne tutela e valorizzazione.

 

Nel trevigiano una prima mappatura attesta circa 354 siti archeologici e industriali in 78 ambiti comunali, concentrati lungo corsi d’acqua quali il Meschio, la Piavesella e lo stesso Sile.

1.         A Pagnano d’Asolo una antica fucina del XV sec., il cui maglio azionato dall’acqua del torrente Musone ha funzionato fino a tempi recenti, è stata recuperata e riattivata dal Comune di Asolo.

2.         Sempre alle pendici dei colli asolani una fornace, gestita oggi dalla Confartigianato di Asolo, è stata restaurata con correttezza filologica mantenendo integro il largo ambiente rotondo per la cottura dei laterizi.

3.                  Infine, a Campocroce di Mogliano Veneto vi è la Filanda Motta.

 

  1. Il Maglio di Pagnano d’Asolo

 

In località Pagnano, alle falde dei Colli Asolani, in provincia di Treviso, scorre il torrente Musone, che nasce poco più a monte per effetto carsico, dalla Pedemontana.

La forza cinetica dell’acqua del Musone venne utilizzata fin dal medioevo per attivare il maglio di Pagnano d’Asolo, la cui struttura primaria, sfidando i danni del tempo e il processo di evoluzione tecnologica, si è mantenuta integra fino ad oggi.

È stato soggetto ad interventi di restauro conservativo che ne ha lasciato integro tutto l’impianto: il forno, il maglio, la mola e l’intero edificio dalla tipologia muraria mista, in ciottoli fluviali, pietra e mattoni.

 

Nella canaletta che bagna l’edificio l’acqua del Musone è convogliata fino al salto d’acqua e alle chiuse, adibite al controllo della quantità d’acqua e della velocità.

Vengono pertanto azionati sia il maglio – un grosso martello di legno a due teste – sia la mola per aguzzare e affilare le lame di ferro.

Scendendo i pochi gradini che immettono ai vani del maglio il visitatore viene subito avvolto da una penombra accentuata dalle pareti annerite, vecchie di secoli, che ricordano l’intensa attività artigianale svolta in questa fucina.

Nacque infatti nel XIII secolo, in un territorio già appartenente all’Ager centuriato dell’antico Municipio romano di Acelum (Asolo): in effetti il ponte sul torrente che conduce al maglio riporta una lapide che documenta l’origine romana.

L'antica tipologia muraria                        La canaletta e le chiuse

         

Qui il “majaro” svolgeva la sua attività e così è stato ininterrottamente fino a circa vent’anni fa.

  Il maglio

L’ultimo fabbro ad avervi lavorato ha mantenuto vivi il maglio, il forno, la mola e tutti gli altri macchinari che oggi funzionano per gruppi in visita.

 

In alcuni locali di recente ristrutturazione, adiacenti al maglio, sono esposti vari oggetti e un interessante archivio contenente documenti risalenti fino al 1600.

 

  Le antiche strutture azionate dal Musone

2. Fornace di Asolo

 

È un forno Hofman quello di Asolo, chiamato così dal nome del tedesco inventore di questa tipologia di forno per la cottura di laterizi di ogni genere.

La struttura della fornace è costituita da un anello ellissoidale con copertura a volte a botte, tutta in mattoni, dove venivano distribuiti i prodotti sottoposti a cottura, e da una cavità al centro costituita dal forno a carbone.

Tutti i laterizi erano lavorati all’aperto, modellati con l’argilla ricavata dalle vicine cave di Possagno, asciugati all’aria e poi coperti di frasche o canne.

Mattoni, tegole e altri prodotti, una volta persa l’umidità che avrebbe reso difficile la cottura, venivano trasportati mediante carrelli, trainati su rotaie, fino al vano del forno di cottura.

Oggi la fornace è stata inglobata in una struttura moderna che la tutela da eventuale rovina o degrado. Si può percorrere l’anello ellissoidale corrispondente al vano di cottura e salire fino all’altezza del forno e vederne la cavità.

La ciminiera indica il sito e la funzione industriale della struttura, anche se appare esternamente come una costruzione moderna, circondata da area verde.

 

Anello elissoidale del vano di cottura 

3. La Società Anonima Industrie Bacologiche e Seriche del cav. Pietro Motta

  È questa la denominazione sociale con la quale lo stabilimento cessò definitivamente nell’anno 1953 la sua attività anche se questa si protrasse stancamente per altri due anni sotto forma cooperativistica (Cooperativa Trattura seta-Filanda Campocroce di Mogliano Veneto).

 

La storia di questa filanda, emblematica per motivi economici e sociali di un certo tipo di sviluppo industriale nel Veneto post-unitario, inizia nel lontano 1876 per opera di un intraprendente proprietario fondiario e ricco borghese veneziano, l’ing. Pietro Motta.

La famiglia Motta era proprietaria di una vasta zona di terreni agricoli (un centinaio di ettari) in località Campocroce di Mogliano Veneto nell’immediato entroterra veneziano dove aveva impiantato un’azienda agricola, cosa che si deduce in modo chiaro dalla struttura del primo corpo di edifici poi adibiti ad attività industriale.

 

L’attività che ben presto acquisì rinomanza, consisteva nella produzione e nella selezionatura di semi-bachi delle varie razze di bachi da seta. Accanto a questa attività di routine ne esisteva un’altra di ricerca vera e propria che portò dopo studi ed esperimenti con qualità provenienti dalla Cina e dal Giappone, alla produzione di una nuova razza detta Chinese dorato molto resistente alle malattie e pregiata.

Questa iniziativa si dimostrò proficua e consentì alla fine degli anni 1890 l’apertura di una prima filanda raggiunta da una seconda verso il 1904.

L’opificio cominciò sfruttando la forza vapore quale fonte di energia, impiegando dei motori che, a seconda della necessità, sviluppavano una potenza complessiva di 10 cavalli-vapore effettivi; solo nel 1904 si ha notizia dell’introduzione dell’energia elettrica che presumibilmente sino alla fine degli anni ‘20 fu abbinata alla forza-vapore.

I reparti adibiti a filanda erano dotati di impianti di aspirazione per il vapore presente durante la lavorazione dei bozzoli nelle bacinelle. L’acqua era attinta da un pozzo artesiano situato nella stessa area della filanda.

 

L’anno nero fu il 1934, dove le quotazioni della seta raggiunsero livelli minimi, (lire 32 al kg) che la filanda superò grazie ad una elevata capacità di adattamento alla crisi attribuibile allo stretto legame mantenuto con le campagne su cui scaricava l’intero onere in termine di riduzione dei salari e del prezzo dei bozzoli.

Per mancanza forse di volontà o di mezzi da parte della proprietà, passata nel frattempo ai figli dell’ing. Motta dopo un periodo di conduzione della madre rimasta vedova nel 1911, non si tentò l’introduzione alternativa delle fibre artificiali o miste che in qualche modo avrebbero potuto compensare questo trend negativo.

La grande sala della filatura: esterno

 

Si giunse così, alla metà degli anni ‘50, e dopo la scomparsa degli elementi più rappresentativi e validi della famiglia Motta e non essendoci dei naturali rincalzi, la filanda che per molti anni aveva dato lavoro a centinaia di operaie, portando nella zona un certo benessere, anche se modesto, chiuse i battenti.

A sua triste testimonianza, mancando tra l’altro perché inconsciamente distrutta o smarrita o, perché non più rintracciabile presso il Tribunale di Treviso dove fu dichiarata fallita, una valida documentazione d’archivio, rimane il complesso di edifici aziendali, interessante esempio di architettura industriale di fine secolo.

E fu concomitante la rapida diminuzione dei gelsi dalle campagne vicine non risultando più proficuo per il contadino la coltura del baco da seta.

 

L'edificio aziendale dopo il restauro

Note logistiche per la visita alle strutture

  FORNACE DI ASOLO – Asolo (TV)

Confartigianato di Asolo – dott. Faganello, fax 0423 524138

Come arrivarci: strada provinciale per Asolo. Senza salire ad Asolo si sosta nei pressi dell’Ospedale.

 

MAGLIO DI PAGNANO D’ASOLO – Pagnano (TV)

Comune di Asolo – Centralino – 0423/5245

I.A.T. Asolo – Tel. 0423 529046

Come arrivarci. strada provinciale per Asolo. Da Treviso: superata Asolo dopo 3 km, seguire a destra l’indicazione per Pagnano.

 

Filanda di Campocroce - Mogliano Veneto (TV)

Responsabile: Ugo Franco - Tel. 041 457797

Come arrivarci: si percorre la strada Terraglio - A metà percorso circa

- tratto Treviso-Mestre - indicazione per Campocroce

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